Il sindaco Marino ha deciso di vietare a Roma affissioni che espongono il corpo della donna, infilandosi nella lunga schiera di chi pensa che basti una legge per impedire le cose sbagliate.
Che la pubblicità faccia persuasione, senza peraltro riuscirci, è un fatto; ciò non significa che debba farlo con cattive intenzioni. Pubblicizzare un prodotto comunicandone al meglio i benefici per il pubblico, non è di per sé una cosa sbagliata. Da quelle vendite dipendono posti di lavoro da una parte e il benessere di un cittadino dall’altra.
Diverso è quando la pubblicità – e qui entriamo nella gran parte della comunicazione nazionale – dice male ciò che vuole dire, cercando di persuadere le persone con messaggi martellanti, dannosi, falsi o addirittura inutili: messaggi, sia chiaro, spesso voluti dalla marca stessa e ai quali le agenzie pur di guadagnare (sempre meno) si piegano ormai senza fiatare.
È così, per esempio, che ci troviamo di fronte a campagne che sminuiscono la donna quando si parla di assorbenti: “Quei giorni lì io non riesco a far bene la ruota in palestra”.
Oppure: “Io lo disegno come un palloncino tutto rosso” e giù risate tra amiche.
Conosco donne che il primo di quei giorni lì non possono neanche alzarsi dal letto dai dolori e ciò nonostante vanno a lavorare, si prendono cura di case, figli e mariti che invece al primo starnuto fanno testamento tra i lamenti.
