Consigli per i consigli per gli acquisti.

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Il sindaco Marino ha deciso di vietare a Roma affissioni che espongono il corpo della donna, infilandosi nella lunga schiera di chi pensa che basti una legge per impedire le cose sbagliate.
Che la pubblicità faccia persuasione, senza peraltro riuscirci, è un fatto; ciò non significa che debba farlo con cattive intenzioni. Pubblicizzare un prodotto comunicandone al meglio i benefici per il pubblico, non è di per sé una cosa sbagliata. Da quelle vendite dipendono posti di lavoro da una parte e il benessere di un cittadino dall’altra.
Diverso è quando la pubblicità – e qui entriamo nella gran parte della comunicazione nazionale – dice male ciò che vuole dire, cercando di persuadere le persone con messaggi martellanti, dannosi, falsi o addirittura inutili: messaggi, sia chiaro, spesso voluti dalla marca stessa e ai quali le agenzie pur di guadagnare (sempre meno) si piegano ormai senza fiatare.
È così, per esempio, che ci troviamo di fronte a campagne che sminuiscono la donna quando si parla di assorbenti: “Quei giorni lì io non riesco a far bene la ruota in palestra”.
Oppure: “Io lo disegno come un palloncino tutto rosso” e giù risate tra amiche.
Conosco donne che il primo di quei giorni lì non possono neanche alzarsi dal letto dai dolori e ciò nonostante vanno a lavorare, si prendono cura di case, figli e mariti che invece al primo starnuto fanno testamento tra i lamenti.

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Eurobestiario #3

Gran finale. L’ultimo giorno sviluppa in grande stile il tema portante del festival, che non è “arrabbattarsi con stile” ma “creative bravery”, anche se i punti di contatto tra i due concetti alla fine sono molteplici. Almeno tre volte si cita l’esempio del manager della Decca Records che respinse i Beatles: come dire che le grandi idee il più delle volte al principio paiono folli. Anche se a volte scelte poco avvedute possono risultare controproducenti: basti pensare al nome del ristorante del Cinema São Jorge, sede dell’evento.

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La mattina scorre senza troppe emozioni, ma risolve il mistero del gorilla batterista: si tratta di un commercial di Cadbury del 2007.

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Il pomeriggio finalmente si rivela denso di innovazione: merito in primis di Media Monks che organizza una presentazione interattiva su due schermi: quello classico alle spalle dei relatori, e lo smartphone di ogni partecipante, con contenuti extra di vario genere.

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Una strada sicuramente da sviluppare. L’animale del giorno è di nuovo un cane: uno dei Driving Dogs di Mini. Dicevamo della follia, no?

La penultima sessione, ad opera di Zenith Optimedia, è forse quella chiave, perché si addentra là dove tutti si trincerano dietro al rassicurante “We have no idea”: il futuro. Con la giusta dose di azzardo, la presentazione propone sei grandi trend di consumo per i prossimi 25 anni.

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L’i-Street è la strada del futuro, dove si va nei negozi di stampa 3D per avere un duplicato della chiave dell’auto o di un pezzo guasto di un giocattolo.
I mercati in espansione non riguardano l’Europa, esclusa la solita Londra: in evidenza i già noti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e in subordine i CIVETS (Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sudafrica), questi ultimi ancora una scommessa.
Il consumo collettivo e responsabile prevede l’enfatizzarsi di diversi fenomeni già in atto (sostenibilità, alimentazione consapevole, km zero) in modo più organico e organizzato.
Il concetto di Social Cooperative vede poi i consumatori al centro del business model, con il brand nel ruolo di collaboratore, non più di fornitore.
L’internet delle cose è il concetto forse più affascinante: ogni oggetto è in rete, comunica con gli altri e anticipa i problemi prima che si verifichino: i supermercati forniranno gratuitamente ai clienti un frigo che ordina in automatico i nuovi prodotti prima che si esauriscano. All’estremo del fantascientifico c’è la pillola della salute, in grado di prevenire i malesseri prima che si verifichino. È la fine dell’imprevisto, della serendipità.
Infine, la democratizzazione della creazione di contenuti: fenomeno già in atto, lascia intendere che in futuro brand e consumatori collaboreranno in modo sempre più stretto.

L’ultimo seminario è dell’artista gallese Pure Evil, di cui con la consueta nonchalance riesco ad arraffare una delle opere gentilmente donate al pubblico, perfettamente a misura di trolley.

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Finalmente, arriva il momento dei premi. Prima una doverosa standing ovation per Nelson Mandela.

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L’Italia porta a casa un paio di ori in radio e PR, niente male, anche se il dominio tedesco e scandinavo è sempre schiacciante. Presidente della giuria principale è Andrea Stillacci, che sostituisce il defezionario David Lubars.
Qui ho raccolto una selezione assolutamente arbitraria di lavori premiati.
Daily Abuse
Second Life Apps
Scorecleaner Notes
Gap In The Market
Facebook 1914
Vodafone Digital Library
Seven Days Of Rain In Barcelona
La lista completa la trovate qui.

All’uscita dalla premiazione c’erano due file. Una era quella dei pubblicitari che salivano sui pullman che li portavano in discoteca. L’altra era quella dei poveri di Lisbona che attendevano un pasto caldo dai volontari.
Io sono andato a dormire.

Eurobestiario #2

Giornata più interessante. Si comincia con la Crispin Porter + Bogusky, che per illustrare il suo metodo creativo cita addirittura “Think Small” e poi rispolvera il celebre “Whopper Sacrifice”.

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L’idea creativa, secondo il loro modello, giace nell’intersezione tra la verità del brand e la verità del consumatore, probabilmente un modo meno criptico per definire l’insight.

Ci sono temi che ritornano più volte durante la giornata: Donald Draper, citato almeno tre volte per sottolineare la necessità di non accettare compromessi (compresa la scena memorabile in cui caccia i clienti dall’agenzia); l’importanza delle emozioni, che detto così pare la solita banalità, e in effetti è difficile dire qualcosa di davvero nuovo sul tema; e naturalmente “The Epic Split”, mostrato in tre presentazioni diverse, compresa quella dell’agenzia che l’ha realizzata, la Forsman & Bodenfors di Stoccolma, che ci tiene a ribadire con orgoglio che non hanno in organico direttori creativi ma solo copywriter e art director, in ossequio probabilmente al modello socialdemocratico scandinavo. E a quanto pare, funziona bene (anche se qualcuno avrà dovuto approvarla, sta campagna).

Nel frattempo, in mezzo alle (pochissime) riviste in omaggio, spunta un bel mazzo di copie del mitico Bill. Che vanno a ruba.

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Il pomeriggio è più visionario. New Moment, agenzia macedone, presenta la case history di un tempio di preghiera multireligioso per favorire l’integrazione culturale ancora complessa nella repubblica balcanica: sul palco salgono un sacerdote ortodosso e un musulmano che pregano contemporaneamente, in un suggestivo incastro di melodie.

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Brandopus, poi, invita a ridurre il rischio di comunicare in modo sbagliato evitando di chiedere pareri ai consumatori: l’assunto, provocatorio ma neanche troppo, è che le persone non dicono quello che pensano, bensì quello che credono di pensare. Il che fa una bella differenza, anche se non risolve troppo il problema.

Finalmente arriva il momento più atteso: 180 Amsterdam ospita il mitico Luis Figo in un dibattito sull’importanza del displacement, il percorso cioè di quei numerosi  creativi, da Joni Ive a Woody Allen, che hanno ottenuto grandi risultati lavorando in paesi diversi dal proprio. Ovviamente, essendo Figo un portoghese che ha giocato per lo più in Spagna e in Italia, il tutto aveva senso. A parte pronosticare Brasile, Spagna e Portogallo come favorite per il mondiale, non è che abbia detto queste grandi cose: ma del resto è uomo di piede, non di parole. Io lo ricorderò sempre per questo gol all’Inghilterra che nella torrida estate del 2000 mi fece fare uno zompo sulla sedia.

Lo confesso: l’ho sempre amato alla follia. Come calciatore, intendo. Classe, potenza, eleganza, fair play: del resto, con un nome così…

Finita la presentazione l’ho atteso mezzora speranzoso nel foyer per un autografo, ma non si è fatto vedere. E vabbè, sti cazzi.

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Dopo le aragoste nel braccio della morte e il cane perculato, l’animale di oggi è il gorilla batterista della scenografia: assieme alla sua amica donna lampadina che si trucca, sembra il modo perfetto per confermare che nessuno in questo momento sembra avere un’idea chiara di cosa sta succedendo nel mondo della comunicazione; che è il concetto con cui si chiudono due presentazioni su tre.

Sull’uso del corpo. In corpo 11.

uso corpo pubblicità

In pubblicità la seduzione è sedazione.

No, non dico che vorrei vedere pubblicizzato un vermouth con una rigida e castigata kore greca del VI sec. a. C., ma scorgere un’alternativa al profluvio di inutile epidermide phtoshoppata che da anni è il linguaggio dominante della comunicazione tricolore. Una grammatica del corpo avvilente, ottusamente asservita a una logora seduttività codificata due-tre decenni or sono, quando l’industria dei media supponeva che in ognuno di noi uomini ci fosse un Jerry Calà pronto a strabuzzare gli occhi per un paio di chiappe abbronzate su una barca in Sardegna.

No, non dico che vorrei vedere pubblicizzato un reggiseno con un frame della celebre performance di Marina Abramović che si fa puntare sul petto un arco teso con la freccia incoccata, ma semplicemente potermi stupire per una creatività che non si riduca alla finta anatomia del desiderio. E non è un’accusa rivolta alla sensualità: le veneri senza veli e tacchi dell’antichità si vestivano di significati, dal più superficiale al più profondo; le veneri veline del presente, tutte con le stesse dentiere e  le tette finte, significano poco.

No, non dico che vorrei trovare in pubblicità ex lanciatrici del martello (e della falce) della fu DDR sfigurate dal testosterone, ma solo imbattermi in qualcosa di diverso dalle solite donne procaci e allusive, una identica all’altra; e soprattutto non vedere più certe grottesche modelle semi-bambine atteggiate da escort, anti-vestali di un immaginario deviato e di un marketing di serie C.

No, non dico di mettere al bando la nudità – non auguro a nessuno di doversi trasformare in un novello Braghettone, pittore soprannominato così perché costretto dal pudore ipocrita della controriforma a dipingere perizomi sulle scultoree anatomie del Giudizio Universale di Michelangelo – ma solo che sarebbe auspicabile un cambiamento di rotta verso un uso diverso del corpo nella réclame, come si diceva una volta. Che non significherebbe trasformare uno spot in un documentario sulla body art e l’Azionismo viennese, ma immaginare che per pubblicizzare i servizi di un operatore internet si possa andare oltre le convessità dell’argentina con la B maiuscola.

No, non dico altro. Solo che tutta questa seduzione produce sedazione. Sempre le stesse immagini, sempre gli stessi toni. Erotismo senza motivo e privo di acume. Narcotizzazione del senso critico. Sonno della ragione che genera mostri di conformismo con cervelli di silicone.

Concludo con un paio di considerazioni sulla pubblicità dei preservativi. Avete notato quanto poco spazio concedono alla seduttività da copione e all’eros vuoto di spirito? E quanto ne lasciano invece all’umorismo e alla non convenzionalità? Insomma, non è paradossale che tocchi proprio a Durex e compagnia insegnarci che la buona comunicazione si fa con la testa, non con il cazzo?

Fuori dalla pubblicità.

Fuori dalla pubblicitàÈ l’ultimo tram per questa sera. Alzo il cappuccio della mia felpa nera, col teschio a forma di croce, e mi siedo verso il fondo. A quest’ora scelgo sempre questa posizione: non esattamente gli ultimi sedili, territorio riservato ai disperati – fatti e ubriachi – ma nemmeno troppo distante da loro; è la condizione che preferisco, la zona di confine dove posso quasi assaporare i loro aliti fetidi di vino scadente e afferrare brandelli di silenzio scarnificato in ogni lingua di questo pianeta. Qui, finalmente, mi sento di essere nell’unico spazio di verità di tutta la città. Qui, su questi sedili, sono esattamente dove voglio essere.

Penso che gli urbanisti dovrebbero progettare le città prendendo come modello i tram che girano di notte, con tanti spazi dove non è possibile ignorarsi e dove si è costretti ad annusare, toccare la pelle sudata, speziata e aromatica di tutti. Nelle città non ci dovrebbero essere luoghi come l’Agenzia, dove puoi passare i tuoi giorni vedendo solo frammenti distillati e altamente selezionati di esistenza, finendo per credere che il resto non esista o che al massimo sia un rigurgito lontano, un errore alle periferie del regno, una lieve fuoriuscita magmatica scaturita da una trascurabile frattura nella crosta terrestre, a troppe miglia di distanza perché possa raggiungerti mai. Forse non sono disperato come i barboni a poche file di sedili da me, ma sento il bisogno viscerale di stare qui, vicino, vicinissimo al baratro, alla frattura, per rieducare le mie cellule all’esperienza della verità, dopo una giornata immersa in un mondo inodore e senza vita, che non contempla la puzza di sudore e l’odore della sconfitta.

Un rutto, seguito da risate spettrali prive di denti. Non rientrano in nessun brief, in nessun profilo socioeconomico, in nessun’area di mercato. Non rappresentano nessun target e non esistono per nessun account executive, nessun planner, nessun direttore clienti; se ne restano fuori dall’Agenzia, fuori dalle strategie di mercato, fuori dagli spot di quegli stessi brand di vino con cui ogni giorno si spappolano fegato e cervello. A quest’ora, su questo tram, seduto con il cappuccio alzato della felpa e un libro che ricomincio ogni sera dalla stessa pagina, mi sono chiesto un mucchio di volte se gli Imperatori del Vino In Cartone abbiano mai fatto una stima approssimativa di quale percentuale di fatturato rappresentano tutte queste persone che mai si sognerebbero di mostrare in uno spot, e di cui forse rifiutano di ammettere persino l’esistenza. Chissà quanto sono consapevoli del fatto che il loro prodotto, descritto nel linguaggio sterile del marketing come un’alternativa giovane e smart al vino in bottiglia e mostrato in assurde pubblicità dall’atmosfera bucolica con volti pretenziosamente genuini e sorrisi inverosimili, venga acquistato con monete odoranti di piscia di cane da mani consumate, con unghie gialle e nere, e aperto ancor prima di oltrepassare le porte scorrevoli dei supermercati di periferia, per essere rovesciato in voragini prive di denti, che non conoscono sorrisi da anni. Chissà se un creativo è mai stato licenziato per aver avuto il coraggio di presentare un’idea che anche solo vagamente tenesse in qualche conto la verità.

Il libro che ho tra le mani, e che ogni sera ricomincio dalla stessa pagina, si chiama Fanculopensiero. È stato scritto da un croato che si era arricchito facendo l’arredatore e commercializzando mobili italiani, o qualcosa del genere. Una mattina ha mollato la sua costosa automobile al semaforo rosso, è sceso, è venuto in treno in Italia e si è messo a fare il barbone. Ha vissuto così per anni, spingendosi ogni giorno più al limite. Spesso prendeva questo tram, quando gli riusciva di non farsi cacciare ci dormiva pure la notte, così c’è scritto nel libro. Ogni tanto alzo la testa dalle pagine e con la scusa di controllare la fermata sbircio gli ultimi sedili, non troppo distanti da me. Ogni tanto ci penso, ogni tanto conto quante file mi separano dalle persone di cui non posso parlare nelle mie campagne pubblicitarie.

La mia fermata. Scendo e sparisco, inghiottito dalla notte araba e cinese del quartiere dove abito. Domani lavorerò su un brand esclusivo di salotti, dedicati a un target con ottime capacità di acquisto e un profilo socioeconomico alto o medioalto.

 

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I have a drum… ho un sogno: pubblicizzare batterie.

I have a drum - pubblicizzare batterieI have a drum… mi correggo, a dream: ho un sogno, quello di scrivere testi pubblicitari per una casa produttrice di batterie. Non batterie da cucina, ma da suonare, categoria strumenti musicali. Sugli strumenti di cottura, per professione, ho scritto già abbastanza, così come ho scritto a sufficienza di parecchie altre cose.

Negli ultimi vent’anni ho preso in prestito modi di dire e saccheggiato le figure retoriche per pubblicizzare prodotti e servizi di tutti i tipi. In frigo conservo i lavori relativi al beverage; ho sistemato in ogni angolo della casa quelli che hanno a che fare con l’arredamento; negli armadi tengo un bel po’ di roba fatta per il settore dell’abbigliamento e in garage le cose realizzate per quello motociclistico. Mi fermo qui, le elencazioni sono noiose. Mi limito ad aggiungere che la campagna per la vita promossa da un’agenzia di onoranze funebri – tra le iniziative più divertenti alle quali mi è capitato di collaborare – me la porterò nell’aldilà.

Mentre sto buttando giù questo pezzo – chi suona un qualsiasi strumento a percussione lo troverà del tutto naturale – a ogni pausa creativa/contemplativa alterno all’atto di battere con le dita sulla tastiera quello di percuotere con le mani il bordo del tavolo, scandendo figure ritmiche a caso. Un mio collega, anch’egli batterista, ma grafico (non faccio nomi, ma specifico che possiede una batteria di marca DW nera), se leggerà questo post vi si riconoscerà: al lavoro tamburella spesso sulla scrivania anche lui, lo sento a quattro porte di distanza.

Ripeto: I have a drum… sorry, a dream, quello di pubblicizzare batterie. Ma vanno benissimo anche i piatti. Intendo piatti sonori, di bronzo, da battere, non da sbattere in lavastoviglie. Insomma, vorrei fare del copydrumming (suona bene, vero?). Si facciano dunque avanti le case produttrici. In Italia ce ne sono diverse, piccole ma eccellenti, mi metto a loro disposizione. In quanto batterista, la materia mi è talmente congeniale che per affrontare il lavoro non avrei bisogno di niente. Le idee arriverebbero rapide, a raffica, come rulli a colpi singoli in sedicesimi eseguiti a 180 battiti al minuto. L’unico problema sarebbe la scelta dei testimonial. Quelli che ho in mente io, Travis Barker, Stewart Copeland e Taylor Hawkins – tanto per nominarne tre che spaccano – sarebbero decisamente fuori budget. Inutile comunque pensarci ora. Alla peggio mi offrirò come testimonial io.

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Indigestione di diminutivi.

indigestione di diminutiviDiminutivi. Robetta? Forse.

Ma siamo o non siamo qui per parlare di parole? In tutti i sensi? È ora quindi di andare oltre gli argomenti che riguardano strettamente il mestiere di scrivere per la pubblicità. Continuare solo in quella direzione potrebbe rivelarsi noioso. E nocivo. Al punto che qualcuno potrebbe dire: – Se tu fossi un pubblicitario figo, uno con la faccia da “abbiamo avuto l’esclusiva” e le colleghe pronte a liquefarsi per un tuo mezzo sorriso, tipo protagonista di Mad Men, non sentiresti il bisogno di scrivere unicamente cose autoreferenziali (Ho scritto “figo”. Avrei potuto dire “cool”, ma da quando me lo fecero togliere da un testo perché assonante con il nome del posteriore umano evito di usarlo). Continua a leggere

Copy-Self-Victim

Ovvero: Il mio gatto preferisce Whiskas.

Nelle mie notti di veglia scrittoria, cercando in tv ispirazione per un presto ritorno del sonno perduto, ogni tanto capito davanti a un programma allucinante che si chiama “Pazzi per la spesa”, naturalmente su Real Time che nel suo palinsesto offre sempre il meglio di ciò di cui è capace l’uomo (vedi gente sepolta in casa dalla propria immondizia, chef incazzosi e madri snaturate che spendono due stipendi di un anno per il 6° compleanno della figlia). Continua a leggere

Album Direttori Creativi Italiani

album direttori creativi italianiDal 4 maggio 2012 parte “Il Grande Venerdì di Enzo”. L’attesissima raccolta dei più importanti direttori creativi italiani. Cosa aspetti? Collezionali tutti!

Dal nostro inviato a Roma. Finalmente venerdì scorso si è svolto l’incontro amichevole che tanti giovani – e meno giovani – creativi sognavano da sempre. Tanti direttori creativi riuniti nei campi di Roma e Milano, senza pericolo di fuga, tutti da collezionare, interrogare, incuriosire, portfolizzare, e addirittura gratis! L’occasione è ghiottissima e tutti noi più o meno giovani siamo stati portati a questo evento imperdibile dalla panza, in nome di Enzo Baldoni, uno dei più grossi esempi di creatività e curiosità che la pubblicità italiana possa vantare. Continua a leggere

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