Cosa è cambiato nel mio primo anno di domiciliari.
Quasi un anno fa mi trasferivo da una regione all’altra, ma conservando il mio lavoro di copywriter con l’agenzia per cui lavoravo. Però a distanza. Gran comodità. Il percorso che devo fare per arrivare in “ufficio” si è ridotto da 15 km a 15 metri. Praticamente la somma dei metri che percorro lungo il tragitto camera da letto-bagno-cucina-bagno-salotto. Forse è un po’ sedentario, ma in compenso si risparmia parecchio di benzina.
Seguo sempre gli orari dell’ufficio, ma mi risparmio gran parte dell’ansia che permea tutti gli uffici del mondo (facendomi comunque venire ansie per tutti gli altri motivi possibili). Ho continuato a coltivare la mia vita sociale con i colleghi, con cui già parlavo ogni giorno via Skype, da piano a piano, da stanza a stanza e, addirittura in un caso, da schiena a schiena. Aggiungiamo anche l’indubbio vantaggio di poter imprecare senza vergogna qualora l’occasione lo richieda.
Insomma, che cosa è cambiato? Me ne sono accorta facendo il cambio di stagione: mettevo via i vestiti della collezione autunno-inverno che non ricordavo più di avere, e li sostituivo nell’armadio con quelli della stagione primavera-estate che, a questo punto, non so se indosserò più. Da un anno infatti il mio abbigliamento quotidiano è costituito da pochi e ben selezionati indumenti, attentamente studiati a seconda dell’occasione d’uso (come direbbero a “Ma come ti vesti?”).
Ecco una rapida carrellata, accompagnata dalla colonna sonora che mi sembrava più adatta:
Giornata di lavoro tipo
Versione autunno-inverno
Versione primavera-estate
Conference call
Occorrente:
Naturalmente sostituisco la felpaccia di pile con abbigliamento (top) più consono.
… E sotto posso continuare a indossare i pantaloni della tuta, i calzettoni con le dita che fanno impressione pure a mio marito e, volendo, anche le comodissime pantofole a zampa di dinosauro, immancabili tra gli accessori per chiunque abbia scelto il lavoro da casa.