Lost in Trasferta.

800px-Toiletpapier_(Gobran111)La prima volta ho scritto questo post sul retro del cartone di una confezione tripla di mais in scatola. Scoprire quella superficie d’altri tempi, scura ma rassicurante, ha aperto un varco a un bisogno che avevo lasciato a maggese per troppi giorni.

Affrontare un trasloco non è proprio un gioco da ragazzi. È una di quelle verità profane che conosci davvero solo quando ne diventi protagonista, piccolo episodio di un’antica leggenda metropolitana.

Per giorni insegui calzini che si ostinano a vivere l’amore promiscuo delle coppie spaiate, dove né il diverso colore né l’identica posizione dell’alluce possono fermare la volontà di passare il resto della vita insieme. Oggetti, di ogni genere e ordine di importanza, si muovono con libero arbitrio e sfrenato senso dell’umorismo, provocando illusioni ottiche e feroci attacchi d’ira funesta. L’idea di aver dimenticato qualcosa di non ben definito ma decisamente vitale, poi, ti toglie il sonno mettendo a dura prova memoria e resistenza.

In città vaghi cercando un ufficio postale e trovi al suo posto ben tre inutili negozi di parrucchiere per signora e schiere di vecchiette che ti chiedono di insegnare loro l’utilizzo dell’ultima diavoleria elettronica: il citofono con tastierino numerico. Confidi nel fatto che il supermercato più vicino sia in realtà il più conveniente e tieni anche il respiro in modalità risparmio energetico per prevenire ogni forma di ictus giovanile davanti alla tua prima bolletta, che non poteva avere un’iva inferiore al 22%.

Eppure, più di ogni altro conforto e parente prossimo, quello che ti manca è il tuo compagno di sempre. Quel 21 pollici imballato nella sua immacolata confezione d’origine che giace in attesa di giusta e definitiva collocazione. Scrivere su quella candida tastiera ti appare momento unico di pura felicità. Come quelli che comprendi davvero solo quando qualcosa o qualcuno te ne priva, improvvisamente.

La sola idea di un sostituto non elettronico ti appare all’inizio come succedaneo tentativo di saltare il baratro, colmare il vuoto.
Inutilità e tradimento.
Fino all’assoluta e incredibile rivelazione.
Quella del cartone del mais.

Ogni cosa svela il suo lato nascosto.

La carta assorbente, le pagine vuote nella guida ai servizi della città, gli angoli bianchi del libretto di istruzioni della nuova lavatrice, il sacchetto dell’ultimo etto di prosciutto e il relativo scontrino. Tutto nasconde una seconda vita, una nuova identità.

I pensieri si liberano. Ogni parola è una conquista.

Ogni superficie diventa lavagna o scrivania. Ogni bugiardino mostra il suo risvolto utile. Ogni penna il suo ultimo alito d’inchiostro. Ogni matita un modo nuovo per essere temperata e ritornare a calcare le scene.

E l’ultimo strappo di carta igienica, quello su cui hai appuntato la lista della spesa, si chiude con un elenco di ordinaria cancelleria. Come se domani fosse il primo giorno di scuola. O la prima scuola di tutti i giorni. Quella in cui ogni forma di scrittura viene dal cuore. E quando arriva bisogna farsi trovare pronti.

Ovunque accada. E senza domandarsene la ragione.
Perché la prima regola dello scrivere è scrivere.
Pensare serve sempre, ma viene dopo.

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