“Che fai sabato sera?” mi chiede un’amica. “Vado a uno spettacolo.” Poiché mio marito fa il prestigiatore, lei mi chiede ancora “Di magia?”, io “No, di copywriting”. Lei ride. Pensava scherzassi. E invece sabato sera sono andata a vedere un copywriter che ha portato in scena le cose che scrive, ma non si tratta di headline e bodycopy. Altro che pubblicità!
Il copywriter si chiama Fabio Palombo. Nel tempo non libero fa il direttore creativo, ma i suoi testi più importanti li scrive in treno, la mattina mentre va al lavoro, mentre riempie il suo taccuino di viaggio, da Saronno a Cadorna, dipingendo a parole, in 11 righe meno qualcosa, quello che succede intorno. Ma anche quello che succede dentro e fuori. E diventa TrainDogs.
Fabio ha iniziato a scrivere i TrainDogs quasi tre anni fa esatti, nell’aprile 2010. Il primo parla proprio dell’inizio dell’avventura che, giorno dopo giorno, è andata avanti fino al numero 450 (per ora). Da un po’ di tempo ha deciso di portarli in scena, stavolta con l’accompagnamento musicale di Piergiorgio Faraglia. Il risultato è un piacevolissimo mix di testi e musica a cui consiglio a chiunque di assistere. Magari chiudendo gli occhi, come ho fatto io.
Già, ogni Traindogs è uno spettacolo da guardare a occhi chiusi, per concentrarsi sulla voce e sulla storia che sta raccontando. Assistere a questo spettacolo è come ascoltare una mostra di quadri che qualcuno ti racconta. La voce va avanti, e tu vedi la banchina della stazione, senti il vento, o la pioggia o il sole, vedi l’operaia che sta andando in fabbrica e la guardi bene in viso, riesci a vedere l’espressione, cosa pensa, i suoi ricordi, che in parte assomigliano ai tuoi. E ti commuovi.
Poiché siamo su Un posto al copy, concludo il mio articolo con tre domande rivolte direttamente a lui, Fabio Palombo.
Fabio, cominciamo dal “naming”. TrainDogs, come mai questo nome?
C’è un pezzo di Tom Waits che si chiama “Rain Dogs”. È da lì che viene il nome. Molti mi hanno chiesto perché “cani da treno”. Perché quando quel fiume di persone scende dai treni e si riversa sui marciapiedi ha poco di umano. E come i cani obbedisce a semplici comandi. Tutti insieme verso l’ufficio la mattina, tutti insieme verso casa la sera. E poi suonava bene, suonava duro. E dava l’idea di quello che volevo trasmettere.
C’è una grande differenza tra i primi, molto descrittivi, e gli ultimi. Mi racconti questa evoluzione?
I primi 100 Traindogs (ora siamo a 450) sono di pura osservazione dei passeggeri di quei treni. Racconto solo quello che vedo e, da quello che vedo, immagino chi sono. Racconto quello che mi trasmettono le loro facce e le dinamiche che vengono a svilupparsi tra loro. Poi il treno ha cominciato a starmi stretto. Non avevo più molto da raccontare, perché di quei treni non c’è molto da raccontare. E contemporaneamente, mi stavo accorgendo che anche per chi mi leggeva il treno non era più un luogo fisico, ma uno stato mentale, ed erano diventati loro i passeggeri del mio treno. È allora che ho deragliato. E li ho portati dovunque, fuori e dentro di loro, soprattutto dentro, ho raccontato qualunque storia, e in moltissime di queste storie si sono identificati. Ma il treno è rimasto. È il nostro treno, il nostro viaggio in questa vita. Metafora se si vuole banale, ma immediata e sempre efficace.
Nel tempo i Traindogs sono cambiati, ma loro come hanno cambiato te?
Sto facendo spettacoli, ogni volta accompagnato da artisti diversi. In un paio di occasioni mi sono trovato davanti a 200 persone. Venute per ascoltarmi. Venute anche da lontano. E cerco di dare il meglio. E di trasmettere emozioni attraverso le mie parole. E dicono che ci riesca. Ecco, se qualcuno me l’avesse detto, gli avrei dato del pazzo. Io sono stato sempre quello dietro le quinte, non ho mai amato mettermi in scena. Eppure è successo. Ed è successo che sia entrato in contatto e abbia conosciuto centinaia di persone fuori dal mio ambiente, che hanno vite diverse e fanno tutt’altro. E molte delle persone che si sono conosciute su Traindogs sono diventate amiche. Traindogs, prima di ogni altra cosa, per me è uno sguardo verso l’esterno, una boccata di ossigeno, rispetto a un mondo, quello dei pubblicitari, che è così autoriferito da essere, alla lunga, sterile. Molti miei lettori sanno cosa faccio per campare, ma non gliene frega niente. L’importante sono quelle undici righe.
Come mi ha cambiato, mi chiedi. Ho imparato ad ascoltare. Chiunque abbia qualcosa da dirmi. Non importa chi sia, che cosa faccia e quale sia la sua storia. Cose che, sotto i cieli milanesi, ce le chiediamo un po’ troppo spesso. E così facendo, ci perdiamo un sacco di vita.
I prossimi Traindogs andranno in scena sabato 18 maggio, Spazio Insana, via San Marco 50, Milano. Per informazioni cliccate qui.
Fonte immagine: funpage Facebook Traindogs
