Storia di parenti serpenti e creativi incapienti.
Il nepotismo è il principale elemento distorsivo della concorrenza.
È un fatto inopinabile, come la trasparenza dell’acqua pura e l’insofferenza degli Italiani verso l’autovelox.
Il respiro profondo e il battito accelerato mi dicono che l’incubo è finito. Ho in mente qualche frammento: un tizio che mi parla di lavoro, il sapore della birra in bocca, il caldo sulla pelle. Meglio dimenticare.
Una goccia di sudore mi bagna la tempia.
Passerà.
Era una bella mattina di maggio e avevo bisogno di ispirazione per un lavoro. La consegna era prevista per la settimana successiva. Così decisi di fare le cose per bene e prendermi i miei tempi.
Un mestiere come il mio, il cui risultato finale parla alla gente e la convince a fare qualcosa, postula un rapporto col mondo esterno, una relazione fatta di conoscenze che si sommano e si intrecciano, un sacco delle meraviglie che va riempito giorno per giorno e, talvolta svuotato, con ogni mezzo possibile.
Internet ti dà la varietà di mille pareri su milioni di argomenti e di idee.
I libri ti regalano la profondità dell’immaginazione.
Ma nulla può sostituire l’acutezza visiva e intuitiva dell’osservazione diretta.
Così, quando ho tempo e ho bisogno di ispirazione, cioè di raccogliere quegli elementi che mi fanno costruire un’idea differenziante, cerco di uscire di casa e fingere di bighellonare.
È il miglior modo per vuotare il “sacco delle meraviglie” e riempirlo con qualche nuova, utile cianfrusaglia creativa.
Presi il treno, poi la metro e camminai fino alle colonne di San Lorenzo.
Quello, per me, è un luogo magico. Parlo di uno di quei posti dove non so esattamente cosa vado a fare ma ci vado. E quando torno a casa ho l’ispirazione in tasca.
Al baretto presi una birra, mi sedetti sulle scale del sagrato e, col taccuino e la penna in mano pronte a tradurre le idee in segni d’inchiostro, cominciai a guardarmi in giro.
Dall’altra parte della piazza c’era un barbone. Non uno qualsiasi, aveva in testa un cappello a tesa larga che ne nascondeva in parte il volto, indossava pantaloni griffati e sneakers costose, un po’ consumate ma ancora dignitose.
Ai suoi piedi, davanti al cappello per raccogliere l’elemosina, c’era un cartello nero con una scritta in bianco: “ Ridotto in questo stato dal nipote”.
Pensai a una burla. Mi avvicinai ridacchiando e, indicando la scritta, gli dissi – Se mi spieghi cosa significa, ti do un euro. –
Sentii solo l’odore dell’alcol e la risposta monocorde – Per un euro ti dico solo grazie. Se mi offri due birre ti racconto tutta la storia. –
Tornai dopo un minuto con le birre, gliene apersi una e ascoltai.
– Sei un copy, vero? Vi riconosco a naso.
Meglio così… Non perdo tempo a spiegarti tante cose.
Anche io ero un copy, freelance. Lavoravo con diversi art, web designer e altra gente del genere. Facevo anche qualche lavoro completo di grafica, ma solo roba facile. Sai com’è: ognuno fa il suo mestiere.
Per fartela breve, una mattina vado col mio designer da un cliente. Gli portiamo un progettino del lavoro e a lui piace. Contenti perché con l’anticipo ci pagheremo le assicurazioni delle macchine, gli mettiamo sotto il naso il preventivo da firmare.
Lui lo guarda, esamina per bene tutte le voci, pondera, ci scruta dubbioso, torna a esaminare le cifre soffermandosi col dito come faceva la prof a scuola sul registro prima di interrogare. Guarda me, guarda il mio socio e dice che i 2.000 euro-stampa-esclusa sono troppi.
Fin qui nulla di anormale. Ci aspettavamo che avrebbe tirato sul prezzo e avevamo maggiorato il preventivo di un buon 15%. Il problema è che subito dopo la spara grossa. Una cannonata nell’alba di un fiordo norvegese (uno dei posti più silenziosi al mondo). Ci dice che suo nipote gli fa lo stesso lavoro per 100 euro.
Alex, il mio socio, farfuglia qualcosa a proposito della qualità del lavoro, del nostro portfolio che parla da solo, degli anni di mestiere, del tempo e dell’impegno che dedichiamo a questo lavoro.
Il cliente se ne frega. Il nipote è un laureando in scienze della comunicazione, secondo lui è un genio.
Noi pensiamo che sia una scusa per farci abbassare il prezzo. Proponiamo uno sconto, poi il pagamento a 120 giorni: niente da fare.
Cliente perso. Non ne vale la pena. Punto e a capo. –
Si interrompe.
La prima birra è finita, afferra la seconda e riprende.
– Un mese dopo vengo a sapere dal figlio di un amico che il “nipote” è davvero un laureando in scienze della comunicazione, che ogni sabato sera, quando lo zio passa la serata dall’amante moldava, si fa lasciare le chiavi del suv col pieno. In cambio gli fa qualche lavoretto. Quanto all’essere un genio… be’, a scopiazzare sono capaci tutti. Tanto suo zio non se ne accorge.
Da lì in poi c’è stata una specie di epidemia di nipoti sapienti, parenti serpenti e lavori in economia.
Lo vedi quello che c’è in giro, no?
E per me è cominciata la discesa: sempre meno soldi, qualche lavoretto malpagato dalle agenzie, via la casa, via l’auto. Poi, la strada. Ora siamo qui. Si vive anche di solo sole, di birra e qualche spicciolo. –
Tacque. Un silenzio lungo come la delusione. Forse si aspettava ancora qualche moneta.
Per la prima volta mi guardò.
Per la prima volta riuscii a vederne la faccia: fu come guardarmi allo specchio. Invecchiato, stanco e ridotto male.
Una goccia di sudore mi bagna la tempia.
Passerà?
