Giovani Leoni crescono.

A metà marzo mi sono imbarcata in una delle avventure creative più interessanti che mi siano capitate: un contest lungo 24 ore. Una maratona da correre in coppia, art e copy under 28, scegliendo tra le categorie Film, Cyber, Print e Design la più idonea alle proprie inclinazioni. Premio in palio: la possibilità di rappresentare l’Italia al Festival Internazionale della Creatività di Cannes con tanto di viaggio a spese della Sipra, organizzatrice del concorso insieme ad Art Directors Club Italiano (ADCI), Assocom e Getty Images. In due parole, Giovani Leoni.

Non voglio prendermi il merito di tanta audacia, galeotta è stata la rete. Grazie al passaparola ho scovato un giovane art che cercava disperatamente una metà creativa per poter partecipare al concorso: Marco Lari, classe 1987, montevarchino in trasferta a Bologna. I requisiti una volta tanto ce li avevo tutti, quindi sono andata ad informarmi sul soggetto. Il talento c’era, così mi sono detta: “perché no?”.

Due mesi dopo, superata l’adrenalina pre-concorso, la stanchezza delle 17 ore di lavoro quasi non-stop per consegnare in tempo, i dubbi sull’andare o meno alla premiazione a Milano, la mancata vittoria e la scia di contestazioni, mi ritrovo a contattarlo su Skype per fare insieme il punto della situazione. Lui parla, io ascolto: come ogni coppia creativa siamo complementari e se lui a voce dà il meglio di sé io ho bisogno di meditare e di mettere tutto nero su bianco.

giovani leoni marco lari serena agneletti

io (copy) e Marco Lari (art)

Da Leone a Leone, il copy intervista il suo art.

Cominciamo dal principio: Giovani Leoni. Perché hai deciso di partecipare? 

Sono venuto a conoscenza del concorso in agenzia, me ne hanno parlato il mio direttore creativo, Roberto De Martini, e la copy, Laura Grazioli. Mi è sembrato un progetto interessantissimo, una bella opportunità anche per due ragazzi senza grandissime esperienze alle spalle. E poi la possibilità di fare un viaggio, un’esperienza nuova… Insomma, il concorso valeva il biglietto!

Quindi il tuo obiettivo era proprio Cannes.

Sono sempre stato un po’ competitivo, è un lato del carattere che mi influenza anche nel lavoro: quando partecipo ci metto tutto me stesso. Anzi, forse anche due me stessi, pur di raggiungere il mio obiettivo.

Non si poteva partecipare da soli, serviva per forza l’altra metà creativa. Tu eri senza copy… Come hai affrontato questa situazione?

Inizialmente mi ha un po’ spiazzato. Mi aspettavo di trovare un copy nel giro di pochissimo tempo, invece non ci sono riuscito nonostante la mia ricerca e l’aiuto di Laura… Poi grazie a Daniela Montieri, sempre del “gruppo copy” – ormai lo definisco così – abbiamo trovato te che…

Momento sviolinata, ok. Ma come te l’immaginavi la collaborazione con un copy che non conoscevi? Che aspettative avevi?

L’aspettativa era quella di poter collaborare con una persona che sapesse fare il proprio lavoro, dato che per il mio non c’erano problemi. Potrei sembrare un po’ spavaldo ma sentivo di poter vincere e il copy era la figura che mi avrebbe dato una mano in questo. Penso di aver trovato quello giusto, il lavoro in team è andato bene.

Lavoro in team ma a distanza: dimmi almeno un pro e un contro di questa modalità.

Il contro è non essere nello stesso luogo nello stesso momento. Skype va bene però il contatto diretto con l’altra persona nel nostro caso avrebbe aiutato e soprattutto velocizzato il tutto. Il pro è che, occupandoci l’una della parte scritta e l’altro di quella tecnico-artistica, ci siamo concentrati di più sul nostro lavoro.

Questo ha anche aumentato la tensione e amplificato la nostra percezione dell’evento: personalmente sapere di avere poco tempo a disposizione, di non potermi girare e parlarti immediatamente, mi ha caricato di senso di responsabilità, di volontà di far presto e bene.

Certo, volevamo impressionarci positivamente a vicenda, dimostrare che tutti e due eravamo dei professionisti; probabilmente perché prima di questa occasione non ci conoscevamo nemmeno.

Insieme abbiamo deciso di lavorare sul design.

Sì, ho spinto tanto sul design. Mi sarebbe piaciuto anche il print (se non avessimo lavorato al telefono avrei provato a portarlo a termine come secondo progetto), però i loghi mi hanno sempre appassionato, divertito, sento di andare sul sicuro. In un progetto in cui si hanno solo 24 ore non è poco.

Hai detto che sei competitivo. Se dovessi esprimere un voto sulla giornata del 6 aprile, quanto ti è piaciuto gareggiare da 1 a 10?

Alla gara in sé e per sé darei sicuramente un 8. L’esito finale abbassa la media, però diciamo almeno un 7,5 generale. 8, via! È un’esperienza che mi ha fatto crescere dal punto di vista creativo. Oggi più che mai bisogna essere veloci e bravi in questo lavoro, quindi quale prova migliore?… Gli avrei dato 10 se avessi vinto!

E ti pareva! Scherzi a parte, è cambiato il tuo modo di lavorare nel quotidiano?

Lavorare non per domani ma per ieri era un metodo che avevo già acquisito, farlo in vista di un obiettivo così importante mi ha fatto capire che certe volte devo fermarmi a riflettere invece che incaponirmi nell’andare avanti.

Una cosa bella e una cosa brutta che ti ha lasciato questa esperienza.

La cosa brutta – tu mi ci trovi subito! – è che non abbiano seguito del tutto il regolamento; non voglio dire che il lavoro che ha vinto non fosse meritevole, anzi, ma avrei preferito un po’ di chiarezza in più. È comprensibile che con i tempi e gli impegni che ha l’ADCI non possa stare dietro a tutto, però così come posso migliorare io potrebbero farlo anche loro a livello di organizzazione. La cosa bella è stata la collaborazione art-copy da pubblicità “vecchio stampo” per un progetto così veloce da fare e così bello come un logo, che per me rappresenta la sintesi del lavoro-tipo di un graphic designer. Mi piace che questo sia il mio pane quotidiano, a prescindere dalle sconfitte o dalle vittorie.

Quindi è un’esperienza che consiglieresti.

Sicuramente, è un’esperienza da fare.

Sai sintetizzare con qualche aggettivo la serata di premiazione e le sensazioni che hai provato?

È stato bello arrivare al Museo della Scienza e della Tecnologia a Milano e trovare all’ingresso tante persone ad accoglierci, come fosse un gran galà. Presentatrice, presidenti di ADCI e Sipra in sala; tutto molto ufficiale. Sono partito con i piedi per terra ma ero lo stesso un po’ ansioso; anche solo essere lì e sperare di essere fra i prescelti mi ha emozionato tantissimo.

A mente fredda hai cambiato idea sul progetto? Ti è capitato nei giorni seguenti di riguardarlo con occhi diversi e pensare che qualcosa si poteva fare diversamente?

Il logo mi piaceva un sacco, ne ero entusiasta; con il senno di poi avrei forse messo ancora di più l’accento sull’idea alla base, secondo me non era per niente scontata. La spiegazione scritta da te dava un input in più, un plus a tutto il lavoro grafico.

Progetti futuri?

Guardando al presente mi trovo benissimo dove sono. In futuro vorrei continuare – sempre più convinto di aver preso la strada giusta – a fare il lavoro che più mi diverte e mi appassiona; realizzare qualche progetto importante puntando sempre più in alto, per soddisfazione personale e perché mi piace tanto, questo lavoro. Devo sfruttarla questa fortuna, se uno fa un lavoro che gli piace secondo me ce la deve mettere tutta. E poi è giusto rimettersi in gioco, quindi non sarà l’ultima volta che parteciperò a un concorso. Bisogna rimettersi in gioco sempre, l’ho fatto con altri lavori e continuerò a farlo anche ora.

 ……

L’intervista finisce qui. A registratore spento continuiamo per un po’ a chiacchierare, finiamo a parlare di film e dalla top list di Marco escono fuori titoli inaspettati: Il favoloso mondo di Amélie, Billy Elliot, The Beginners; tutte storie che, a ben vedere, hanno al centro personaggi che rompono gli schemi e seguono caparbiamente la propria strada. Lui non è da meno, è per sua stessa ammissione “un super-sognatore con la testa tra le nuvole fin dalle elementari” e per dimostrarmelo mi racconta di quella volta che, alle prese con un tema, decide di svolgerlo come gli riesce meglio: disegnando fumetti. La maestra, invece di mettergli una nota, gli consiglia di intraprendere degli studi artistici; qualche anno più tardi, all’Istituto d’Arte di Firenze, Marco capisce che non essere bravissimo con le parole o non impazzire per le scienze non è un problema. Ed è proprio quella maestra la prima persona che chiama quando, qualche anno dopo, si aggiudica una borsa di studio di quattro mesi in America partecipando ad un concorso scolastico. La parola “concorso” forse lo riporta al presente, ai Giovani Leoni, gli si accende una lampadina in testa e ripensando al suo tema a fumetti conclude: “In fondo, ho vinto la mia vera sfida quando ho infranto le regole. Non posso essere fiscale con chi ha fatto altrettanto”.

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