La creatività è un gioco da ragazzi.

creatività bambiniO del bambino che si nasconde dentro ogni webwriter.

Sono una persona che si pone sempre un sacco di domande e spesso questa pessima abitudine mi impedisce di vivere le situazioni con leggerezza, soprattutto sul lavoro.

Ogni volta che mi metto alla tastiera per scrivere un pezzo, ancora prima di iniziare a battere sui tasti, la mia testa si riempie di dubbi densi e di paranoie: e se poi non rispettassi le regole della buona comunicazione? Avrò tenuto presente le tecniche di persuasione? Come la mettiamo con le parole chiave da posizionare?

Sudo freddo e capisco chiaramente come si sentiva Ercole alle prese con la sue fatiche. Penso di non essere l’unica persona a cui succede, soprattutto fra i copy che lavorano molto sul web.

Ma com’è cambiato il peso della creatività nel nostro mestiere? Non viene anche a te il dubbio di averla persa per strada, sostituita da regole e norme utilissime – per carità -, ma che le fanno perdere drasticamente importanza?

Caro collega, se ti sembra di non trovare gli stimoli giusti e di sentirti schiacciato dai diktat SEO non abbatterti! Ho trovato le prove che dentro a ogni copy la creatività non muore mai e il motivo è il più semplice: siamo tutti, sempre, dei bambini.

Com’era quella leggenda metropolitana che diceva che per essere creativi bisogna mantenere vivo il fanciullo che è in noi? Ebbene, quella non è una leggenda, secondo me è una storia vera.

Non fraintendermi, col termine bambino non ti sto parlando né dei bamboccioni odierni che giocano con i videogame, né degli eterni Peter Pan, categoria temutissima dalle signorine da marito; io affermo proprio che dentro ad ogni adulto, si nasconde un bambino interiore che resta sempre vigile, tanto da non avere nemmeno bisogno di essere risvegliato.

Forte di questa intuizione, armata di buona volontà e grande rigore scientifico mi sono messa a scavare nell’inconscio collettivo per portare esempi pratici sulla fondatezza della mia teoria.

Secondo me, questo bambino si colloca nelle nostre abitudini, nei gusti e nei vizi.

Guardati bene allo specchio e dimmi in quante di queste affermazioni ti riconosci:

  • La mattina, mi alzo imprecando, a volte faccio anche i capricci.
  • Ho dei riti che mi aiutano a rilassarmi e una posizione standard in cui mi addormento.
  • Detesto aspettare in macchina.
  • Mi mangio le unghie.
  • Tolgo il grasso dalla bistecca.
  • Mi incanto a guardare i cartoni animati.
  • Mangiare un determinato piatto sveglia in me ricordi e sensazioni.
  • Quando mi concentro tiro fuori la lingua.
  • Quando sono in ansia mi arriccio i capelli con le dita.
  • Mi importa del giudizio di chi amo.

Questa approfondita ricerca non è completa perché ci sono talmente tanti modi di rimanere sempre pupi che sarebbe difficile stilare l’elenco completo.

Non dimenticarlo però questo piccolo, perché anche se a volte scompare nelle pieghe della quotidianità, è lui che ti nutre.

 

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Ridotto in questo stato dal nipote.

ridotto in questo stato dal nipoteStoria di parenti serpenti e creativi incapienti.

Il nepotismo è il principale elemento distorsivo della concorrenza.
È un fatto inopinabile, come la trasparenza dell’acqua pura e l’insofferenza degli Italiani verso l’autovelox.

Il respiro profondo e il battito accelerato mi dicono che l’incubo è finito. Ho in mente qualche frammento: un tizio che mi parla di lavoro, il sapore della birra in bocca, il caldo sulla pelle. Meglio dimenticare.
Una goccia di sudore mi bagna la tempia.
Passerà.

Era una bella mattina di maggio e avevo bisogno di ispirazione per un lavoro. La consegna era prevista per la settimana successiva. Così decisi di fare le cose per bene e prendermi i miei tempi.
Un mestiere come il mio, il cui risultato finale parla alla gente e la convince a fare qualcosa, postula un rapporto col mondo esterno, una relazione fatta di conoscenze che si sommano e si intrecciano, un sacco delle meraviglie che va riempito giorno per giorno e, talvolta svuotato, con ogni mezzo possibile.
Internet ti dà la varietà di mille pareri su milioni di argomenti e di idee.
I libri ti regalano la profondità dell’immaginazione.
Ma nulla può sostituire l’acutezza visiva e intuitiva dell’osservazione diretta.
Così, quando ho tempo e ho bisogno di ispirazione, cioè di raccogliere quegli elementi che mi fanno costruire un’idea differenziante, cerco di uscire di casa e fingere di bighellonare.
È il miglior modo per vuotare il “sacco delle meraviglie” e riempirlo con qualche nuova, utile cianfrusaglia creativa.

Presi il treno, poi la metro e camminai fino alle colonne di San Lorenzo.
Quello, per me, è un luogo magico. Parlo di uno di quei posti dove non so esattamente cosa vado a fare ma ci vado. E quando torno a casa ho l’ispirazione in tasca.
Al baretto presi una birra, mi sedetti sulle scale del sagrato e, col taccuino e la penna in mano pronte a tradurre le idee in segni d’inchiostro, cominciai a guardarmi in giro.
Dall’altra parte della piazza c’era un barbone. Non uno qualsiasi, aveva in testa un cappello a tesa larga che ne nascondeva in parte il volto, indossava pantaloni griffati e sneakers costose, un po’ consumate ma ancora dignitose.
Ai suoi piedi, davanti al cappello per raccogliere l’elemosina, c’era un cartello nero con una scritta in bianco: “ Ridotto in questo stato dal nipote”.
Pensai a una burla. Mi avvicinai ridacchiando e, indicando la scritta, gli dissi – Se mi spieghi cosa significa, ti do un euro. –
Sentii solo l’odore dell’alcol e la risposta monocorde – Per un euro ti dico solo grazie. Se mi offri due birre ti racconto tutta la storia. –
Tornai dopo un minuto con le birre, gliene apersi una e ascoltai.

– Sei un copy, vero? Vi riconosco a naso.
Meglio così… Non perdo tempo a spiegarti tante cose.
Anche io ero un copy, freelance. Lavoravo con diversi art, web designer e altra gente del genere. Facevo anche qualche lavoro completo di grafica, ma solo roba facile. Sai com’è: ognuno fa il suo mestiere.
Per fartela breve, una mattina vado col mio designer da un cliente. Gli portiamo un progettino del lavoro e a lui piace. Contenti perché con l’anticipo ci pagheremo le assicurazioni delle macchine, gli mettiamo sotto il naso il preventivo da firmare.
Lui lo guarda, esamina per bene tutte le voci, pondera, ci scruta dubbioso, torna a esaminare le cifre soffermandosi col dito come faceva la prof a scuola sul registro prima di interrogare. Guarda me, guarda il mio socio e dice che i 2.000 euro-stampa-esclusa sono troppi.
Fin qui nulla di anormale. Ci aspettavamo che avrebbe tirato sul prezzo e avevamo maggiorato il preventivo di un buon 15%. Il problema è che subito dopo la spara grossa. Una cannonata nell’alba di un fiordo norvegese (uno dei posti più silenziosi al mondo). Ci dice che suo nipote gli fa lo stesso lavoro per 100 euro.
Alex, il mio socio, farfuglia qualcosa a proposito della qualità del lavoro, del nostro portfolio che parla da solo, degli anni di mestiere, del tempo e dell’impegno che dedichiamo a questo lavoro.
Il cliente se ne frega. Il nipote è un laureando in scienze della comunicazione, secondo lui è un genio.
Noi pensiamo che sia una scusa per farci abbassare il prezzo. Proponiamo uno sconto, poi il pagamento a 120 giorni: niente da fare.
Cliente perso. Non ne vale la pena. Punto e a capo. –

Si interrompe.
La prima birra è finita, afferra la seconda e riprende.
– Un mese dopo vengo a sapere dal figlio di un amico che il “nipote” è davvero un laureando in scienze della comunicazione, che ogni sabato sera, quando lo zio passa la serata dall’amante moldava, si fa lasciare le chiavi del suv col pieno. In cambio gli fa qualche lavoretto. Quanto all’essere un genio… be’, a scopiazzare sono capaci tutti. Tanto suo zio non se ne accorge.
Da lì in poi c’è stata una specie di epidemia di nipoti sapienti, parenti serpenti e lavori in economia.
Lo vedi quello che c’è in giro, no?
E per me è cominciata la discesa: sempre meno soldi, qualche lavoretto malpagato dalle agenzie, via la casa, via l’auto. Poi, la strada. Ora siamo qui. Si vive anche di solo sole, di birra e qualche spicciolo. –

Tacque. Un silenzio lungo come la delusione. Forse si aspettava ancora qualche moneta.
Per la prima volta mi guardò.
Per la prima volta riuscii a vederne la faccia: fu come guardarmi allo specchio. Invecchiato, stanco e ridotto male.

Una goccia di sudore mi bagna la tempia.
Passerà?

Caro webwriter, ecco come trovare nuovi clienti online

Sia ben chiaro: questo post è dedicato a copywriter e webwriter freelance, ma abbraccia tutto il mondo dei professionisti online.

Perché la crisi economica corrode le sicurezze, si insinua come una carie tra le corde della nostra vita. Ma noi abbiamo un’arma che può darci un aiuto concreto, uno strumento con il quale possiamo trovare nuovi clienti.

Sei un webwriter. Ecco come trovare nuovi clienti online

Sto parlando del web, quella rete grande come il mondo che mette a tutti in comunicazione con tutti. Basta saperlo fare. In questo articolo voglio darti qualche consiglio pratico per fare in modo che nuovi clienti arrivino a te.

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Shape of my art.

shape of my artCon l’avvento simultaneo della banda larga, del surriscaldamento globale e (soprattutto) della riforma Fornero, ultimamente avvistare un copywriter in agenzia può essere difficile quanto imbattersi in un molosso di Gallagher nel fitto della foresta congolese. Anni di master e corsi di specializzazione vengono inflessibilmente abbattuti dalla stessa spietata legge di sopravvivenza che ha costretto gli strategic planner a tramutarsi in account executive, e soprattutto gli art director a mischiarsi con i graphic designer e i web designer per dare vita a una superspecie professionale che racchiuda il meglio di tutti: ideazione, esecuzione e produzione; ATL, BTL e Web; Photoshop, Illustrator e DreamWeaver, tutto in un unico professionista, tipo uno squalo volante con una corazza da armadillo.

Il problema del copywriter è che le sue possibilità evolutive sono pressoché nulle, perché sa usare un solo strumento. E non ne ha neanche l’esclusiva. L’account macina appuntamenti su appuntamenti, armato del suo inseparabile telefono. L’art impagina layout a raffica grazie alla sua tavoletta magica. Il copy scrive: ma tutti scrivono in agenzia. Scrivono gli account per stendere i brief, tra un appuntamento e l’altro; scrivono persino gli art (!) per descrivere le proposte, tra un .eps e l’altro.

Da un certo punto di vista, l’abilità principale del copy è una della abilità secondarie dei suoi altri colleghi: in caso di emergenza, un bravo art (talvolta persino un bravo account) può tirare fuori una bella headline o un buon naming; ma neanche il miglior copy dell’universo saprebbe mai impaginare qualcosa che sia degno di essere mandato in tipografia. Per questo il copy è ontologicamente una figura volatile, evanescente, con il rischio perenne di diventare improvvisamente superfluo. E per questo il rapporto numerico tra copy e art in agenzia certe volte ricorda quello tra donne e uomini in quei paesi del terzo mondo che applicano un rigoroso controllo delle nascite.

Quando entrai nella mia terza agenzia scoprii con sorpresa di essere (direttore creativo escluso) l’unico copywriter dell’agenzia. Questo implicò due cose: la prima è che ero di default il miglior copywriter dell’agenzia (♪ bonci-bonci-bo-bo-bom ♫); la seconda è che avrei lavorato su praticamente tutti i progetti. E quindi con tutti gli art. Otto, per la precisione.

Insomma, altro che coppia creativa. Il copywriter, oltre che volatile, è anche la specie di pubblicitario più poligamo che ci sia. Il che è abbastanza ovvio: se la velocità del pensiero è uguale per (quasi) tutti, il tempo di esecuzione (e di modifica) dell’art è dieci volte quello del copy. Il che mi ha svelato una grande, profonda verità, di cui non si parla nei libri scritti dai guru e che viene taciuta nei master dello IED o dell’Accademia di Comunicazione: il lavoro del copywriter non si esaurisce nello scrivere.

Una volta che l’ultima headline è stata approvata, l’ultima bodycopy è stata limata e gli ultimi dubbi dell’account sull’utilizzo dell’articolo “il” oppure “lo” prima della parola “pneumatico” sono stati adeguatamente aumentati rimandandolo all’apposita discussione sul forum dell’Accademia della Crusca per spingerlo a dichiarare “Va bene, fai come vuoi”, spetta all’art director risistemare il tutto. A questo punto, preciso compito del copywriter è quello di prestargli tutta l’assistenza psicologica e il supporto morale di cui mostri di aver bisogno.

Nell’anno che ho passato lì dentro ho cercato di fare del mio meglio: offrendo infiniti caffè (talvolta non richiesti) a mezzo reparto creativo come se una violentissima carestia avesse appena colpito tutte le piantagioni brasiliane di coffea arabica; scovando tutte le uscite editoriali sui cinquant’anni dei Beatles per la mia collega malata dei Fab Four; sommergendo di Duplo e altre zozzerie la mia art preferita ogni volta che le e-mail di debriefing sembravano scritte da Thomas Beckett invece che da un responsabile marketing. Poi, quando l’avvento simultaneo della banda larga, del surriscaldamento globale e (soprattutto) della riforma Fornero ha colpito me, prima di andare via mi sono premurato di lasciarle un sacchetto pieno di Duplo nell’armadietto della scrivania. Una scorta per i momenti difficili.

Mi chiedo spesso se chi è arrivato dopo di me faccia parte della stessa specie: un volatile poligamo, ma premuroso.

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Oggi sciopero!

Finti testi o vere rivendicazioni?

copywriter in sciopero

Agli scioperi sono abituato. Mi riferisco a quelli altrui ovviamente. In quanto lavoratore autonomo non mi è consentito rivendicare alcunché. Come categoria, nel Belpaese, che non è solo un formaggio con la faccia dell’abate Stoppani, ma anche l’Italia, io non esisto. Non approfondisco.

Agli scioperi dei treni, essendo pendolare, sono abbonato. A quelli degli sceneggiatori di Hollywood, se non ne avessi visto sfilare uno coi miei occhi in televisione, non avrei mai potuto credere. Giravano con dei cartelli che riportavano scritto qualcosa. Non ho fatto in tempo a capire cosa.

Davanti allo spettacolo di quelli che scrivono per il cinema ammutinati per protesta, non ho potuto non cedere alla tentazione di immaginare quale forma potrebbe assumere uno sciopero dei copywriter. Data la professione non mancherebbero gli slogan; la stampa verrebbe inondata di comunicati; i social network verrebbero tempestati di post; i blog finirebbero per essere intasati di contenuti verbali e visivi di ogni sorta.

Ma cosa immaginare per colpire? Cosa ordire per stupire? Cosa scrivere per far restare la gente senza parole? Slogan da far impaurire perfino Hulk Hogan? Comunicati da scomunicati? Post da spostati? I copy diranno: “Di roba così ne abbiamo i cassetti pieni, è tutto quello che non ci approvano, praticamente il novanta per cento di quello che ideiamo”. Gli credo. Ma non basterebbe.

Bisognerebbe andare veramente oltre. Durante lo sciopero non si lavora, giusto? Per chi lavora scrivendo sarebbe quindi più efficace, più significativo, comunicare le proprie rivendicazioni facendo così:

Testo dello slogan:

LOREM IPSUM!

Testo del comunicato stampa:

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Testo post per i blog:

Quello che state terminando di leggere proprio ora.

Per concludere, non prendetevela troppo quando qualcuno modifica immotivatamente i vostri testi. Non mettetevi subito in sciopero. Pensate a cosa hanno fatto a Cicerone, estrapolando a caso delle parti dal suo De finibus malorum et bonorum e storpiandone la maggior parte delle parole per trasformarlo nel più celebre finto testo della storia. Era un verboso rompiballe ma un affronto del genere non se lo meritava.

Il mio nome è Nessuno.

il mio nome è nessuno“I testi non li legge nessuno”.

La madre di tutte le frasi irritanti è lei.  Oltretutto, a voler essere pedanti, andrebbe riformulata più correttamente, per quanto  arcaicamente, dicendo “i testi non vengono letti da alcuno”. La doppia negazione infatti, a rigor di termini, produce un’asserzione. Come in algebra, dove meno moltiplicato per meno fa più. Ancora più esecrabile dunque chi se la mette in bocca.

Io, che sono un nessuno, i testi li leggo. Essere nessuno mi appaga, al punto che, all’atto di presentarmi alle persone, mi piacerebbe esordire dicendo “Il mio nome è nessuno”. È vero, motivare ai miei interlocutori questa affermazione mi costringerebbe a dilungarmi così tanto che fare ritorno al punto di partenza diventerebbe un’odissea, ma è proprio lì che voglio arrivare, a Ulisse.

“Il mio nome è Nessuno: Nessuno mi chiamano mia madre e mio padre e tutti gli altri compagni”, rispose il reduce dalla guerra di Troia a Polifemo che gli aveva domandato, pregustando il momento in cui lo avrebbe divorato, quale fosse il suo nome. “Per ultimo io mangerò Nessuno, dopo i compagni, gli altri prima…” replicò il ciclope monocolo, senza accorgersi di essere stato beffato da un ingegnoso gioco di parole. Un gioco di parole con cui Ulisse si salvò la vita. Per poi toglierla al gigante in modo efferato. Gli amanti del genere pulp potranno approfondire come leggendo Omero, Odissea, LIbro IX, vv. 380-390 e dando un’occhiata alle tante raffigurazioni in tema che traboccano dai vasi antichi.

Insomma, Ulisse si salvò grazie a un gioco di parole. Un po’ come quelli con cui sbarcano il lunario i copy; assieme a un’altra quantità di roba scritta, per elaborare la quale non basta il guizzo, ma bisogna farsi il mazzo. Che poi a qualcuno piaccia recitare la trita filastrocca secondo la quale i testi pubblicitari non vengono letti da nessuno è secondario. L’importante è avere la consapevolezza che essere nessuno non è da tutti.

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