Copywriting e pendolari. Di parole da dire ce ne sarebbero a vagonate. Il mio post precedente parlava di copywriting e batteria. Lo concludevo scrivendo che mi sarebbe piaciuto fare del copydrumming. Tanto per abusare un altro po’ del suffisso -ing, in relazione al fatto che per recarmi a svolgere il mio lavoro di copywriter prendo tutti i giorni il treno, potrei coniare ora il termine copytraining, ma trattasi di neologismo non pertinente, poiché credo potrebbe significare qualcosa tipo “training per copywriter”. Sì, d’accordo, un po’ di training autogeno, per non farsi sopraffare dalle intemperanze dei clienti, a volte ci starebbe, ma questa, come direbbe il noto giallista circondato di sagome, è un’altra storia.
Ritorno quindi sui binari, figurati e veri. Quelli su cui corre, perennemente in ritardo, il convoglio fatiscente, rumoroso e maleodorante su cui viaggio da parecchi anni. Cinquantasette chilometri all’andata e altrettanti al ritorno. Tratta a cavallo di due regioni, per la gioia di poter subire i disservizi di due compartimenti ferroviari. Degli scompartimenti invece non posso dire nulla perché non esistono più. Hanno lasciato il posto a open space su ruote in cui tutti stanno felicemente insardinati gli uni accanto agli altri, a volte seduti gli uni sopra gli altri per mancanza di posti liberi.
Presenze pressoché immancabili della mia quotidianità ferrata sono lavoratori, studenti e americani della base aerea atterrata circa sessant’anni fa vicino al luogo in cui abito, questi ultimi eccitati all’andata dall’idea di visitare il prodigio millenario della città costruita sull’acqua e spompati al ritorno, col cappello da gondoliere in testa, per aver dovuto camminare ore scalando decine di ponti. Ah, dimenticavo di citare i passeggeri che, incuranti del fatto che devi mettere giù un centinaio di idee per una campagna pubblicitaria prima di arrivare in ufficio – il cliente ne ha fatto richiesta con due righe di brief meno comprensibili di una poesia dada alle diciotto e venti del giorno prima ed esige almeno dieci proposte per la mattina seguente – ti schiamazzano nelle orecchie le loro conversazioni.
Al copy pendolare, per non assecondare il desiderio di scaraventare i disturbatori fuori dal finestrino e trasformarsi così in un pendolare pendaglio da forca, non resta che battere in ritirata. Intendo nei servizi igienici: quelli dei treni tempo fa si chiamavano così. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Nella tranquillità del bagno, è risaputo, capita che vengano buone idee o, se non altro, può accadere che quelle da buttare nel cesso siano meno numerose di quanto il contesto farebbe supporre.
Dove voglio arrivare, oltre che a destinazione senza ritardi? A dire che appartenendo la “ritirata” alla categoria dei servizi igienici pubblici, è naturale che si venga colti dal desiderio di lasciare qualche parola impressa sulle sue pareti. Una volta, lo confesso, è successo anche a me. Cosa ho scritto? Ovvio: A COPYWRITER WAS HERE. Nella mia lunga carriera di pendolare posso dire dunque di avere scritto sia in treno sia, di fatto, “sul” treno. La cosa buffa è che alcune settimane dopo, nel rifugiarmi per l’ennesima volta nella toilette del mio “regionale veloce” (si chiama così, non è una mia definizione ironica), per combinazione sono finito proprio nella stessa “ritirata”. La mia frase era ancora lì, solo che qualcuno aveva cancellato il termine COPYWRITER per sostituirlo con COPRIWATER. Gli si può dare torto?
