Il pubblicitario, la sua mamma, il “posto” e i concorsi.
Dialogo tra un copywriter e sua madre in una giornata qualunque:
– C’è un concorso per 11000 posti di insegnante.
– Embè?
– Potresti tentarlo.
– Ma io ho già un lavoro.
– Ma non ti piacerebbe fare l’insegnante? Stare sempre con i bambini?… Avere un posto sicuro?
– A parte che ho già un lavoro, come ti dicevo… Come insegnante faccio schifo. Ho fallito anche con le lezioni private ai cuginetti, hanno dovuto riparare solo in quelle materie.
– Ma tu un bambino ce l’hai…
– E mi fa piacere che dalle 8 alle 16 se ne occupi qualcun altro.
– Comunque c’è questo concorso. Non è che lo vuoi tentare?
– Ti ho già detto che ho un lavoro?
E così via…
Come possiamo pretendere che il lavoro del “creativo” venga riconosciuto come tale dalla società, quando falliamo così miseramente già in famiglia?
“Di cosa si occupa suo figlio?” “Mah, boh, pubblicità… non so”. Il genitore classico non è convinto e non c’è busta paga che tenga. Cerca sempre di spingerti verso la “concretezza” dei concorsi statali, se non addirittura quelli televisivi!
– Tu che sei così bravo con le parole, devi giocare “alla parola” (che poi è “la ghigliottina”, la fase finale del programma “L’eredità” su Rai1), la indovineresti subito!
Oppure, di fronte all’ultimo successo editoriale del meno conosciuto dei comici di un clone di Zelig:
– Perché non scrivi anche tu un libro e facciamo (notare il plurale) un sacco di soldi?
E siamo ancora nell’ambito in cui ti riconoscono un minimo di cultura generale, ma poiché mamma e papà devono fare qualcosa per questo povero figlio disadattato, prima o poi costui si troverà iscritto a sua insaputa al gioco “dei pacchi” o alle prossime selezioni del Grande Fratello (e solo perché è fuori età massima per diventare amico di Maria De Filippi).
